[Questo testo sull'arrivo dell'Italsider (oggi Ilva) a Taranto è tratto dalla raccolta Nud'e cruda. Taranto mon amour, Effigie Edizioni, Milano 2006, pp. 66-69. Lo pubblichiamo oggi, ringraziando l'autore, per mantenere viva l'attenzione sulla possibile chiusura della più grande fabbrica di morte d'Europa, alla vigilia della manifestazione del 17 agosto per Ambiente, Salute, Reddito, Occupazione!]
Negli anni sessanta a Taranto costruirono l'Italsider, una delle più grandi acciaierie d'Europa, l'area industriale più grande del mondo occidentale, un colosso con bocche a strisce rosse e bianche e lingue di fuoco da inferno sulla crosta terrestre.
I tarantini negli anni settanta avrebbero fatto un giro di valzer con un lebbroso pur di entrare nell'Italsider. I pescatori lasciarono le barche, i ciabattini chiusero le botteghe e i militari mollarono le stellette. Tutti negli altiforni, tutti a nuotare nella bramma, nell'amianto e nei gas tossici, tutti a inzuppare il ditino nella ricotta del diavolo. Tutti a pesce sul posto fisso. A ognuno il suo elmetto antinfortunio e la sua tuta. Tutti a marcare il cartellino, smarcare il tesserino, tutti marchiati sulle natiche dalla Cassa del Mezzogiorno che aveva deciso che a Taranto sarebbe arrivato il progresso.
La Maledizione prese forma quando l'acqua della costa cominciò a sapere di piscio di gatto e i pesci presero a venir fuori incatramati; le vasche delle acciaierie cominciarono a versare sterco prima a lido Azzurro, poi a Chiatona, alla foce del Patemisco e poi si acchiapparono tutta la costa occidentale. Le gambe cominciarono a essere tranciate, la cancrena s'avviluppò agli stinchi degli operai. I morti bruciati vivi nelle cokerie vennero allineati in bare senza coperchio e i miasmi vennero combattuti da colline da avanspettacolo che dovevano fermare nubi assassine e gas che di esilarante avevano solo il cancro. Cancro ai polmoni. Cancro esilarante. Le carni in suppurazione richiamarono sciacalli, avvoltoi e poi la fauna cadaverica. Un'intera classe politica dovette fare i conti con l'ombra della siderurgia e cercò riparo tra le garze imbevute di pus annodate e sostituite a pieno regime negli ospedali della città.
Due morti al giorno, questo dicono, statistiche, paga il banco. Venghino signori, puntate, puntate e le vostre giocate verranno decuplicate... venghino. Vedrete le donne che hanno abortito nel rione Tamburi, gli storpi dell'altoforno numero 3, i vegetali ridotti all'oblio da dosi massicce di anidride carbonica mescolata Dio sa a quali sostanze da un Frankenstein giapponese.
L'Ilva oggi è più vasta di Taranto. Accanto ci sono le raffinerie, la Cementir e tutto l'indotto. Una parte del siderurgico è ferma; anche se il fatturato ha cifre da spruscio l'acciaio non tira più come una volta e le leghe leggere e le fibre in carbonio si sono acchiappate un mercato che prima il dio metallo gestiva come un tiranno tutto ferro e denaro. Ma se cerchi di circumnavigare l'area ti accorgi che è sconfinata. Dentro c'è di tutto. Chiese, masserie, cittadelle, mense, fiamme mitologiche, vortici, formicai...
L'Ilva ha modificato un intero territorio.
La città si è ingrandita dieci volte. Sono sorti i quartieri satellite. La malavita ha fiutato l'affare tentando più volte l'assalto per la gestione dell'indotto e per scartavetrare di tangenti tutti quelli che si avvicinavano al giocattolo. Gli ambientalisti erano e sono di due tipi: i puliti e i pilotati funzionali al sistema e che dal sistema vengono manipolati. Ancora oggi l'Ilva è una macchina per far soldi. I tumori sono il fio del progresso, un dazio che la nostra civiltà deve pagare per far sì che ogni famiglia si fregi del possesso di due televisori, una lavatrice, un minipim, una lavastoviglie, una villa al mare, la scuola di ballo per la figlia e un windsurf per il pargolo, la parabolica e l'amante calda e silenziosa.
Il sistema si regge sull'agonia dell'industria pesante. I nostri tubi hanno alimentato la transiberiana, i gasdotti giapponesi e quelli dell'astro nascente cinese. Il Moloch siderurgico è una grande avida bocca che ingoia investimenti e sputa mazzette, pezzi di cadaveri, colon e pancreas fottuti, uomini grigi che montano per il secondo turno, granchi deformati dall'inquinamento e quartieri operai sorti come baraccopoli sui rifiuti industriali. Gli uomini degli altiforni hanno occhi spenti e trascinano in casa la puzza del metallo bruciato che però è nobilitata dal profumo del pane guadagnato con onestà. La chimera del posto fisso, della fatica non soggetta agli elementi atmosferici come invece è la pesca ha maciullato valori e usi locali. Basta alzarsi alle 5 per arare i campi e pregare tutti i santi in paradiso affinché non si scateni un'alluvione devastatrice. Basta comprare merletti a un soldo per poterli rivendere a un soldo e un quarto di centesimo e restare tutta la vita in una bottega di 20 metri quadri a mangiare polvere e ammuffire sotto il peso della forfora. Basta attraversare in lungo e in largo la Puglia con campionari di tessuti sempre un anno indietro rispetto alla moda. Ecco la soluzione: l'Ilva. Un contratto firmato davanti al Gatto e alla Volpe e con l'aiuto di Mangiafuoco il futuro offriva prepensionamento, secondo lavoro in nero e cassa malattia. E se a qualcuno esplodeva il fegato o gli partivano le corde vocali poco male, signori miei, siamo tutti parte di un unico grande ingranaggio i cui gangli per quanto difettosi sono sì essenziali ma comunque intercambiabili.
E la politica? A Taranto l'uomo medio è convinto che la politica ha fatto la sua parte.
Giochi sporchi, quelli della politica, si dice in giro, da circo sanguinario, facendo del pachiderma siderurgico un cavallo di battaglia. I politici sono visti dal tarantino medio come alligatori che, a corto di gnu, si sono fiondati sulla polpa della città dicendo questo e quest'altro, attaccando e contrattaccando il giusto e lo sbagliato, e l'ambiente di qui e il benessere di qua... e il lavoro e l'assenza di lavoro sbandierata ai quattro venti. Lo spettro esibito, quello dei nuovi possibili morti di fame, è servito eccome per far ingoiare la merda ai tarantini e far venire quante più mosche possibili attratte dal caramellato.
Anche perché l'Ilva, come una cagna sempre disponibile, ha fatto campare non solo i tarantini ma una fetta di meridione. Dalla provincia di Lecce, Brindisi, Foggia... dalla Lucania e dalla Calabria, tutti si sono abbeverati e tutti hanno ciucciato le mammelle procaci salvo poi prendere le distanze dai soliti molli tarantini che si sono fatti fottere la terra e la speranza da un paio di vecchi volponi di mercanti di fumo tossico e acciaio.
Alla fine diciamo che è finita così: tutti hanno goduto con la puttana dello Ionio e poi nessuno, incrociandola sul viale principale del paese, ha avuto il coraggio di ricambiare il saluto.
E i tarantini? Fottuti. Fregati, insomma, senza neanche il lenimento della vaselina.
L'Ilva ha salvato Taranto, hanno detto... anche la squadra di calcio cittadina dal fallimento, hanno aggiunto i bene informati. Qualche migliaio di euro, cielo color piombo e tutti felici e contenti.
Una storia del tubo, insomma.
http://www.carmillaonline.com/archives/2012/08/004405.html
IMPRESA E AMBIENTE
Diretta / Ilva, finisce il vertice con i ministriFerrante: "Dall'Ilva altri 56 milioni per bonifica" manifestanti in attesa di Clini e Passera
Zona rossa attorno alla prefettura e cortei vietati: queste le misure di sicurezza adottate in occasione del vertice con i ministri Clini e Passera, protesano gli ambientalisti. Malumori per la decisione del questore di limitare cortei "sotto la prefettura e nelle relative adiacenze".
http://bari.repubblica.it/cronaca/2012/08/17/news/diretta_ilva_tensione_a_taranto_cortei_vietati_nella_zona_rossa_mappa_in_arrivo_i_ministri_clini_e_passera-41067862/
Cronache
17/08/2012 -
Politici, funzionari, manager Inchiesta bis con 13 indagati
MULTIMEDIA
Corruzione, la mazzetta al perito consegnata in autogrill
Guido Ruotolo inviato a Taranto
Tredici indagati, per concussione e
corruzione. Politici, funzionari pubblici, dirigenti Ilva, il rampollo del
patron Emilio, il «ragioniere» Fabio Riva. Gli uomini della Finanza l’hanno
chiamata «environment sold out», ambiente svenduto. E rende l’idea di una città
disperata, sotto ricatto permanente. Da un anno la procura di Franco Sebastio ha
l’esplosiva informativa dal nucleo operativo della Guardia di Finanza di
Taranto. Che solo in minima parte, con tantissimi omissis, è stata depositata al
Riesame, che ha confermato il sequestro degli impianti Ilva.
Sarà anche
vero che l’Italsider pubblica era un «assumificio» per clientele e notabilati
politici. Ma anche il privato, Emilio Riva, che ha preso l’acciaieria nel ’95,
ha messo sotto tutela la città. L’ha comprata, corrotta, intimidita, blandita,
come dimostra questa inchiesta con le sue chiarissime intercettazioni
telefoniche e ambientali.
L’uomo nero di questa storia è Girolamo
Archinà, il potente pr, pubbliche relazioni Ilva, detronizzato dal presidente
dell’Ilva Ferrante appena avuta lettura degli stralci di intercettazioni
depositate al Riesame. C’è una storia, che può apparire banale, ordinaria per la
sua dinamica. Un autogrill, le telecamere della sicurezza che riprendono i due
uomini passeggiare, con uno che consegna all’altro una busta bianca. Storia
ordinaria di corruzione. Solo che uno dei due è un professor universitario, un
perito nominato dal pm Mariano Buccoliero, Lorenzo Liberti, e l’altro è il
grande corruttore (che agisce su mandato della proprietà) Girolamo Archinà. Sono
loro, anche perché riconosciuti da una dipendente dell’autogrill in questione.
Liberti era uno dei periti che doveva accertare la provenienza delle diossine
che avevano avvelenato capre e pecore.
Il giorno prima di questa
sequenza, Archinà chiamò il cassiere dell’Ilva, Francesco Cinieri, chiedendogli
di preparare 10.000 euro («dieci per domani, se sono da cinquecento è meglio»).
Ma i tagli utilizzati furono da 50 e 100 euro. «E’ tutto pronto... tra un’oretta
c’è G. (l’autista, ndr) da te». «Ma devo portare la valigetta per ritirare la
somma?». Cinieri: «La busta entra in tasca...».
Grande Archinà, che non
delega il lavoro sporco a qualche suo sottoposto. E’ lui che consegna le buste.
Che ha rapporti con sindacalisti diventati politici, politici diventati uomini
delle istituzioni, pubblici funzionari e persino prelati. Sempre nella logica di
fare opere di bene. In cambio, però, di non far disturbare il manovratore. Ci
voleva pure l’Aia, autorizzazione integrata ambientale, con tutte le
prescrizioni e un inter burocratico di sette anni.
«Per quanto riguarda
la commissione Ipcc (la commissione delegata a fare l’istruttoria per l’Aia,
ndr), si rileva che il Girolamo Archinà si è appositamente accordato con il
dottor Palmisano, che è un funzionario della Regione Puglia incaricato di
rappresentare l’ente nelle riunioni della conferenza dei servizi che si tengono
presso il ministero dell’Ambiente, finalizzate a istruire la pratica per il
rilascio dell’Aia. Dalle telefonate si rileva che l’intervento dell’Archinà
verso il predetto Palmisano sia stato finalizzato a sensibilizzare quest’ultimo
nel dare una mano all’Ilva. Emerge anche il tentativo di pilotare i lavori della
commissione Ipcc a favore dell’Ilva, evidenza, questa, che ancora una volta
dimostra la capacità di infiltrazione degli uomini dell’Ilva a tutti i
livelli».
Era l’inviato a L’Avana, Palmisano. Ufficialmente partecipava
alle riunioni per conto della Regione, in realtà, sospettano gli uomini della
Finanza, curava gli interessi dell’Ilva. Un doppiogiochista, insomma. «Il fatto
che la commissione debba essere pilotata e che, comunque, sia stata in un certo
modo in parte avvicinata, si rileva anche dalla seguente conversazione nella
quale l’avvocato Perli di Milano (legale esterno dell’Ilva) aggiorna il
ragionier Fabio Riva sui rapporti avuti con l’avvocato Luigi Pelaggi, che è capo
dipartimento presso il ministero dell’Ambiente. Perli gli comunica che Pelaggi
gli ha anche riferito che la commissione ha accettato il 90 per cento delle loro
osservazioni e la visita riguarda il 10 per cento restante. Perli aggiunge che
non avranno sorprese e comunque la visita della commissione in stabilimento va
un po’ pilotata».
Che presenza soffocante, l’Ilva a Taranto. Adesso il nuovo numero uno, Bruno
Ferrante, promette di voltare pagina. Ma il passato rischia di tornare
attualissimo. Sotto forma di un provvedimento dell’autorità
giudiziaria.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/465735/
17/08/2012 13:55
ILVA, NUOVI INDAGATI NELL'INCHIESTA BIS
Manager, politici e funzionari pubblici tra le sedici persone finite
nell'inchiesta della Guardia di Finanza da cui emerge il sistema adottato dai
vertici dell'azienda per evitare i controlli
Servizio di Rossana Russo
ANZA', DIOSSINA, FABIO RIVA, FERRANTE, ILVAGIROLAMO ARCHINA', ISOLA DELLE FEMMINE, ITALCEMENTI, LORENZO LIBERTI, LUIGI PELAGGIA.I.A., PETRUZZELLA, TARANTO, TODISCO, TODISCO PATRIZIA, A.I.A. ITALCEMENTI 693 LUGLIO 2008,
IL DELIRIO DI VENDOLA:
«Vietato chiudere
l'Ilva»
di Gianni Lannes
Per dirla con Oscar Wilde: “Mentire con garbo è
un’arte, dire la verità è agire secondo natura”. Allora, veniamo al delirio di
Vendola, un classico già sperimentato due anni fa con le regalie del governatore
in soldoni pubblici al mafioso don Luigi Verzé. Dichiara l’illuminato Nichi: «Il
percorso è indicato proprio nell'ordinanza del gip. Si può garantire fin da
subito la salute dei cittadini senza dover chiudere gli impianti: l'Ilva è una
città e se chiudesse ci troveremmo di fronte al più impressionante cimitero
industriale del mondo». Lo ribadisce il presidente della Puglia Nichi Vendola
sottolineando che «adesso spetta all'Ilva rimuovere dalla scena del siderurgico
tutto ciò che nuoce. L'ordinanza del gip - precisa - descrive puntualmente quali
sono gli elementi che pregiudicano la salute dei cittadini e credo che l'Ilva
abbia le competenze per attuare un programma di interventi a brevissima, media e
lunga scadenza. Deve rimuovere subito quegli elementi che compromettono
l'insieme del diritto alla salute, dalle partite di acquisto di cospicue
quantità di filmante che serve a ridurre al minimo lo spolverio, come la
riduzione della produzione nei giorni di vento forte, l'installazione di
centraline di un monitoraggio più in profondità dell'impianto, che noi abbiamo
chiesto». Per Vendola è «Offensivo l'attacco del giudice Amendola, perché noi,
come Regione, abbiamo fatto la differenza in questi anni. I primi controlli
all'Ilva li ho fatti io nel 2008. Oggi abbiamo una legge antidiossine e
antibenzopirene». Vendola insiste sulla necessità di una mediazione e si chiede
se davvero «possa chiudere il più grande polo dell'acciaio. E' progressista -
aggiunge - che l'Italia dismetta alcune sue antiche e robuste tradizioni
produttive? E' legittimo pensarlo, ma io non sono d'accordo».
Vendola, anche lei è sul libro paga del clan Riva?
Ilva fuorilegge - Nichi Vendola non parla, narra frottole
incommensurabili. E basta poco per smascherarlo, se ancora ce ne fosse bisogno.
E allora diamo un’occhiata alle cifre ufficiali. L’Ilva è il
quarto gruppo siderurgico d’Europa e fattura 8 miliardi di euro. La società Utia
sa (Riva Fire) ha sede in Lussemburgo: un paradiso fiscale non a caso.
Prendiamo il “Rapporto Ambiente e Sicurezza 2011” dell’Ilva
S.p.A: i numeri smentiscono Vendola. Il dato emerso dall’ultima campagna per
la rilevazione di diossine e furani nei fumi delle emissioni del camino E312
effettuata da Arpa Puglia, che ha registrato un risultato pari a 0,2 ng ITE/
Nmc. Risultato inferiore al valore limite imposto dalla legge regionale - numero
44 del 19 dicembre 2008 - di 0,4 ng ITE/Nmc. Questa normativa
regionale pur essendo stata ammorbidita dalla giunta Vendola nel
marzo del 2009, parla chiaro: dopo aver effettuato tre campagne di misura
annuali, il valore di emissione su base annuale sarà ottenuto mediante la media
aritmetica dei valori di emissione delle campagne di misure effettuate. Media
aritmetica che non dovrà essere superiore al valore limite imposto dalla legge
regionale stante in 0,4 ng ITE/Nmc. Ora: se la matematica non è un’opinione,
sommando le tre campagne di rilevazione effettuate da Arpa Puglia (febbraio 0,68
+ maggio 0,70 + novembre 0,20) il risultato che ne vien fuori è 1,58 che diviso
tre porta la media annuale a 0,52 ng ITE/Nmc: un risultato sicuramente
importante, ma che è semplicemente oltre il limite imposto dalla legge
regionale, che essendo entrata in vigore il 1 gennaio 2011, non può essere
considerata dai dirigenti un obiettivo da raggiungere, bensì un limite da
rispettare: punto. Dunque: l’Ilva è semplicemente fuorilegge.
Inoltre: ciascuna di queste campagne di rilevamento solo di diossine e
furani, ma non di mercurio o addirittura di radioattività (che
avvengono “senza preavviso”, ma con i tecnici Arpa che impiegano ben 90 minuti
per arrivare dai cancelli d’ingresso al camino E-312 e montare la relativa
attrezzatura) si articolano su tre misure effettuate in tre giorni consecutivi
di 8 ore ciascuna. Ora: sempre se la matematica non è un’opinione , parliamo di
24 ore a campagna, per un totale di 72 ore di rilevamento dati. L’Ilva però, è
un impianto sempre in ciclo, che opera 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno. Un
anno è composto da ben 8.760 ore, quindi siamo su una percentuale di 0,82 ore
coperte nell’arco di un intero anno. Quanto è efficace una legge che è stata
modificata proprio per occultare la verità? La legge in questione prevede che
“il valore di emissione derivato da ciascuna campagna sarà ottenuto operando la
media aritmetica dei valori misurati, previa sottrazione dell’incertezza pari al
35%”, come del resto prevede anche la norma UNI EN 1948:2006 dell’Unione Europea
sulle rilevazioni delle emissioni tossiche, a cui la legge regionale fa
riferimento. Sapere quanta diossina viene emessa dal camino E-312 ogni singolo
secondo, sarebbe tutt’altra storia e darebbe senz’altro risultati scientifici
inconfutabili e certi. E qui siamo costretti a riaprire la famigerata diatriba
relativa al “campionamento in continuo” delle emissioni di diossina e furani dal
camino E-312, che ha vissuto una storia sin qui alquanto tribolata. Questione
che all’Ilva non riguarda, e a ragion veduta, visto che nel Rapporto gli vengono
dedicate pochissime righe a pagina 55, in cui l’azienda sostiene essere ancora
in corso d’opera la prima fase dello studio di fattibilità sulla sperimentazione
di tale operazione, che è partita ufficialmente lo scorso 21 marzo. Poi, nello
scorso luglio, ad Arpa Puglia arrivò una comunicazione da parte del Ministero
dell’Ambiente, secondo cui si era messo in moto In origine, l’articolo 3 della
legge regionale prevedeva l’obbligo di tale campionamento: poi, nel marzo del
2009, tale articolo fu “aggiustato” diventando un campionamento da svolgere
minimo tre volte in un anno. Ma nella “revisione” del 2009, non avvenne la
totale prescrizione dell’articolo 3, ma soltanto una semplice aggiunta di un
“comma 1 bis”, lasciando così in vigore l’articolo 3 in cui è previsto
“l’obbligo per le aziende di presentare un piano per il campionamento in
continuo”, che come detto è ancora lungi dall’essere concretizzato.
Danni incommensurabili - A parte i malati e i morti in termini economici,
sarebbe utile quantificare i danni provocati dall’inquinamento dell’Ilva. Per
esempio, sarebbe interessante capire perché a pagare i danni sia sempre e
soltanto la popolazione e non le marionette di Governo nazionale e
locale. Perché l’abbattimento degli ovini, l’economia che esse producevano e il
(misero) rimborso alle aziende non viene pagato dagli inquinatori ma dalle
Istituzioni, come la Regione e quindi con i soldi dei contribuenti. Chi pagherà
quei mitilicoltori che da luglio 2011 sono fermi nella produzione perché il Mar
Piccolo è inquinato? Naturalmente, la popolazione: circa 1 milione di euro, a
spese dei contribuenti. E chi ripaga l’agricoltura? Pensate soltanto
all’agrumicoltura. E l’elenco potrebbe allungarsi notevolmente, sino alle
malattie derivanti dall’inquinamento che negli anni è costato in termini di vite
umane e di risorse economiche sanitarie. E allora: quanto costa
veramente l’Ilva? E quanto ripaga la Puglia? Ecco perché sarebbe interessante
chiedere ai dirigenti Ilva o ai loro divini narratori perché nel corposo volume
aziendale manchi una parte relativa a tutto quello che testimonia, a livello
scientifico, il volume complessivo dei danni che questo inferno ha causato al
territorio tarantino.
Omissioni e rimozioni - Nel palazzo di governo è stato
dimenticato il rapporto dei Carabinieri del NOE nel quale venivano
riportate tutte le irregolarità riscontrate nel corso di 40 giorni di indagini
ed appostamenti effettuati dal nucleo speciale dell’Arma. Un rapporto presentato
presso la Procura di Taranto nell’udienza dell’incidente
probatorio portato avanti dal pm Patrizia Todisco, attraverso il quale i
Carabinieri consigliavano il sequestro gli impianti del siderurgico al fine di
poter avviare un’indagine approfondita sullo stesso. Rapporto che il 4 luglio
scorso arrivò via fax anche al Ministero dell’Ambiente, ma la conferenza dei
servizi sull’AIA dell’Ilva svoltasi il giorno dopo, pur prendendone visione, non
lo ritenne di una rilevanza tale da comportare modifiche alle prescrizioni
licenziate dalla Commissione Istruttoria IPPC.
In quel rapporto però, veniva ad esempio posto
l’accento sul fenomeno dello “slopping”, la dispersione dai tetti delle
acciaierie delle famose nuvole di fumo rosso dovuto alla presenza di ossidi di
ferro, chiaro indice della scarsa efficacia delle prescrizioni per contrastarle
previste nell’AIA dell’Ilva. Nel rapporto del NOE si denunciava anche un uso
distorto delle torce di tipo continuativo, come pratica di smaltimento e non
legato ad eventi eccezionali (come ad esempio le emergenze e/o problemi di
sicurezza). L’ultima denuncia del rapporto del NOE riguardava la preoccupante
situazione in cui versa l’area Gestione Rottami Ferrosi. Il rapporto del NOE
evidenziava l’insufficienza sia della portata delle prescrizioni imposte
nell’AIA, sia dei controlli su quanto dichiarato dall’Ilva nel suo piano di
risanamento. In particolare si rilevava “l’assenza di sistema di captazione e
depolverazione nell’area taglio rottami ferrosi, il sottodimensionamento e
l’avaria di quello installato nell’area adibita al taglio dei fondi delle
paiole”.
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2012/08/il-delirio-di-vendola-vietato-chiudere.html
Così come non abbiamo trovato nelle pagine del
Rapporto, nulla che facesse riferimento al verbale della Conferenza dei Servizi
Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa
vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti
l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto” datata 15 marzo 2011 a
Roma, dopo la comparsa del quale l’iter dell’approvazione della legge regionale
sulla bonifica delle falde si è stranamente arenato.
In quel verbale veniva sottolineato come il Piano di
Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva S.p.A. fosse incompleto
vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio che deve
concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di stabilire
definitivamente il livello di effettivo inquinamento”. Inoltre, risultava
protocollata anche una nota diretta dell’Ilva S.p.A. (DIR/28 del 16/04/2010), in
cui la stessa azienda dava conto dei livelli di notevole inquinamento della
falda. Come veniva chiaramente sottolineato che il rilascio dell’A.I.A. “non
esime il titolare dell’impianto di avviare e concludere nei tempi previsti il
procedimento di bonifica e risanamento ambientale per il sito in questione”.
Infine, veniva chiesto agli organi di controllo (Polizia Provinciale, ARPA e
ASL) di effettuare idonei sopralluoghi a cadenza ravvicinata “al fine di rendere
edotti i soggetti sullo stato attuale del sito, con particolare riferimento agli
usi delle acque di falda contaminate e/o ai rischi professionali e sanitari
degli operatori/fruitori del sito”. Inutile dirvi che l’Ilva ha fatto ricorso al
Tar di Lecce.
A memoria
umana - Non abbiamo dimenticato gli oltre 1.600 capi di bestiame
abbattuti dall’Asl di Taranto per la presenza negli stessi di livelli di
diossina superiori al limite di legge. Non abbiamo dimenticato le lacrime, la
disperazione, il dramma degli allevatori delle masserie della provincia ionica
(come le famiglie Fornaro e D’Alessandro). Non abbiamo dimenticato i
mitilicoltori tarantini, a cui viene impedito di lavorare a causa di un
inquinamento senza precedenti da Pcb che ha avvelenato il 1° seno del Mar
Piccolo (ma state pur certi che prima o poi verrà fuori il nome di chi ha
riempito per anni la cava del terreno dell’azienda San Marco Metalmeccanica di
materiale di risulta industriale, che combacia con la falda profonda che segue
un percorso che finisce proprio nel 1° seno). Non abbiamo dimenticato che anche
quest’anno è stato registrato il doppio sforamento nel quartiere Tamburi sia
delle polveri sottili (PM10) sia del benzo(a)pirene. Non abbiamo dimenticato il
rifiuto da parte dell’Ilva di installare delle centraline all’interno del
perimetro del terreno occupato dal siderurgico, previste dal piano della Regione
e di Arpa per il rilevamento del benzo(a)pirene (a cui Eni e Cementir hanno
detto sì). Non abbiamo dimenticato le tombe e le cappelle del cimitero “San
Brunone” ed i palazzi “rossastri” del rione Tamburi, investiti da decenni dalle
polveri dei parchi minerali che l’Ilva si ostina a non voler coprire, sostenendo
che basterà il semplice barrieramento e la conclusione delle colline ecologiche.
Non abbiamo dimenticato il continuo mancato pagamento dell’Ici ed il ricatto
imposto all’attuale amministrazione comunale per non pagare gli interessi sulla
cifra da versare (da 13 milioni di euro si è passati ad 8 milioni). Non abbiamo
dimenticato, e non abbiamo intenzione di farlo, l’inquinamento senza precedenti
prodotto consapevolmente e senza riguardo alcuno per la dignità umana dal 1961
ad oggi. Non abbiamo dimenticato i tanti ammalati di Taranto e provincia. E non
solo quelli colpiti dalle varie forma di tumore: ci riferiamo ad esempio alle
donne affette da endometriosi, patologia poco nota, ma molto diffusa in loco. Ci
riferiamo alle tante donne e ai tanti uomini colpiti da infertilità. Come non
abbiamo dimenticato le migliaia di morti, tra parenti, amici e conoscenti,
disseminati negli ultimi 50 anni e che ognuno di noi porta in fondo al cuore. E
i tanti giovani andati via da questa città e che mai più torneranno.
Non abbiamo
dimenticato il vescovo Benigno Papa. In una delle sue
ultime uscite ufficiali prima del passaggio di consegna al collega Filippo
Santoro.
Nella rivista IL PONTE (edita da Riva) e distribuita fra i
dipendenti e gli enti del territorio, si può ammirare
un’intervista di tre pagine nelle quali il prelato tesse le lodi della famiglia
Riva. Neanche un riferimento al disastro ecologico o al quartiere Tamburi. Non
una parola sulle numerose denunce dei cittadini. Insomma uno spot per chi
inquina. Se poi, in occasione della festività di S. Cataldo, il marchio Ilva è
tra i primi a comparire in qualità di sponsor della manifestazione, diventa
difficile dar torto a chi ricordava che la dignità non si compra e che, i soldi
donati alla chiesa Gesù Divin Lavoratore per il rifacimento della facciata, non
erano che un obolo interessato. Lo hanno capito tutti, tranne monsignor Papa che
addirittura, in una lettera, ringraziò l’ingegner Riva a nome della comunità
(“Ho già scritto all’ing. Riva – scrisse l’Arcivescovo ai fedeli del quartiere –
per esprimergli la mia e vostra riconoscenza”). Parole che fecero inorridire i
cittadini dei Tamburi e non solo, così come l’accusa di ‘inquinamento morale’
che giunse pochi mesi dopo ai cittadini che scendevano in piazza per chiedere un
ambiente migliore. Inquinamento morale che, evidentemente, non riguarda i tanti
silenzi sul disastro ambientale o il Cataldus d’argento per il volontariato
consegnato al responsabile rapporti istituzionali dell’Ilva (siderurgico che era
fra i finanziatori dell’iniziativa). Non abbiamo dimenticato le
morti bianche degli operai, assassinati nel siderurgico per una logica di
profitto a tutti i costi.
E
non abbiamo nemmeno dimenticato i tanti politicanti, sindacalisti, prenditori,
intellettuali e personaggi da palcoscenico, che hanno sempre
saputo, ma hanno preferito coprire, tacere, ignorare, insabbiare.
Noi non dimentichiamo. E non dimenticheremo. Mai.
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2012/08/il-delirio-di-vendola-vietato-chiudere.html
Italcementi la farsa della conferenza servizi 4 l7 07 art 269 d lgsv 3 aprile 2006 n 152 modifica autorizzazione emissione prot 45549 15 giugno 2007 nella durata 45 minuti smentita di minagra da parte di portobe from Pino Ciampolillo
ILVA Taranto / legalità e libertà, poggiano sull’equilibrio e
sulla separazione dei poteri: il governo tra caso AIA e
nomine dubbie affossa la democrazia
mercoledì 15 agosto 2012 di Erasmo Venosi
La vicenda dell’Ilva e la paventata ipotesi di emanazione di un
decreto che sospenda l’ordinanza del GIP di Taranto, da il senso e la misura
della precarietà raggiunta della nostra democrazia e della teorica e strumentale
sovranità del popolo che, tale non è se non si accompagna all’effettiva
sovranità della legge. È insufficiente una Costituzione fatta di belle parole
come insufficienti sono le promulgazioni di leggi se è messa in discussione, una
prassi giudiziaria garante dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
Nella Democrazia reale la legge ha potere assoluto.
Negli Stati Uniti circa un decennio fa accadde un episodio, la cui
modalità di soluzione dimostra la differenza che intercorre tra astratte
garanzie scritte sulla Carta e la loro effettiva applicazione. La Microsoft di
Bill Gates, azienda essenziale per l’equilibrio dell’economia statunitense a
causa dell’enorme valore delle sue esportazioni fu denunciata e condannata per
violazione della legge antitrust. Il Principio di ogni vera democrazia che,
consente di proteggere legalità e quindi libertà, poggia sull’equilibrio e sulla
separazione dei poteri.
La vicenda Ilva e dello strumento che, avrebbe dovuto consentire
la riduzione integrata dell’inquinamento è emblematica e rappresentativa di come
sia tutelata la salute e l’ambiente in Italia. La fabbrica avrebbe dovuto
dotarsi di tecnologie a basso impatto da almeno un decennio e per effetto di
cogenti norme comunitarie e interne. Invece tra legge, decreti attuativi e
cavilli procedurali siamo arrivati alla situazione di oggi. Attenzione:
l’autorizzazione integrata ambientale quale strumento di gestione
dell’inquinamento determinato dal settore produttivo, riguarda circa 200
impianti di competenza statale e 8000 di competenza regionale sui quali grava un
colpevole silenzio. La vicenda della Commissione del Ministero dell’Ambiente per
la concessione delle AIA è emblematica per comprendere, la concezione che i
legislatori e il Governo hanno di questi importanti strumenti operativi.
La Commissione AIA nominata dal Governo Prodi, fu esautorata dal
Governo Berlusconi nel luglio del 2008. Il Ministro dell’Ambiente nominò una
nuova Commissione, in cui emergevano alcune caratteristiche “particolari” : il
presidente era un ingegnere laureatosi sei anni prima e che faceva il
ricercatore nella Università privata siciliana Kore di Enna: tra le sue
pubblicazioni più significative emergevano le "Potenzialità del ravaneto nella
tecnica delle costruzioni stradali" oltre a una pubblicazione sulla gestione dei
rifiuti urbani in Sicilia. Altro elemento che colpì, fu la presenza di tre
magistrati della terza sezione del Tar del Lazio sotto cui ricadono le
valutazioni sui ricorsi all’Aia. Relativamente all’Aia , mentre il Gruppo
Istruttore del Ministero dell’Ambiente nominato per Ilva ed esautorato nel 2008
era composto da tre ingegneri , un chimico e un medico . Il Gruppo della
Commissione nominata dal Ministro Prestigiacomo per l’Aia su Ilva aveva come
presidente l’Ing. Bonaventuura Lamacchia deputato per la lista Dini e poi Udeur
costretto alle dimissioni per condanne a 2 anni e 5 mesi. In seguito fu nominato
un nuovo gruppo Istruttore, composto da due ingegneri, un chimico e due
magistrati della terza sezione del Tar del Lazio, Stefano Castiglione e Umberto
Realfonzo come è possibile riscontrare nel decreto del Ministro dell’agosto
2011.
A me pare non proprio il massimo, affidare un’istruttoria tanto
complessa che comprende, una cokeria, un impianto di agglomerazione, un
altoforno, un’acciaieria, la produzione di laminati e di tubi e che occupa
un’area nella sola Città di Taranto, equivalente a un quadrato avente un lato
lungo 3 km a un gruppo tecnico che, su cinque commissari ne comprende due che
sono magistrati amministrativi ovvero totalmente ignari dell’oggetto della
istruttoria.
Oggi responsabili istituzionali, politici, sindacalisti e
giornalisti parlano e citano Ilva come la più grande azienda siderurgica
d’Europa di cui non se ne può fare a meno, ma nessuno di questi soggetti ha mai
aperto bocca sui patologici ritardi nella applicazione della normativa sull’Aia
, sulla distruzione della Commissione Aia insediata dal precedente Governo per
motivazioni clientelari (la maggioranza dei nuovi commissari erano siciliani
come il Ministro) e l’immissione di tre magistrati della terza sezione del Tar
del Lazio competente per la valutazione dei ricorsi all’Aia.
Nessuno si è mai interrogato sui potenziali rischi per una Città
che, ha dieci impianti a rischio di incidente rilevante. Criminale chi ha
concesso ripotenziamenti d’impianti, nuove centrali in una Città in emergenza
ambientale da venti anni. E ancora mi piacerebbe leggere dichiarazioni da parte
dei Bersani, di Casini, di Alfano e dell’incredibile tuttologo onnipresente ex
direttore generale del Ministero dell’Ambiente per sapere a che punto si
trovano, i circa 8200 procedimenti potenziali di Aia che rappresentano l’unico
strumento di tutela di quel bene primario e fondamentale che si chiama salute
Quando questo Ministro “performante“ adempierà quanto disposto
dall’art 13 dell’ex dlgs 59 del 2005 istituendo l’Osservatorio IPPC
sull’applicazione comunitaria, nazionale e regionale della direttiva sull’Aia e
posto al servizio delle autorità competenti? Dall’istituzione dell’Osservatorio
discende l’obbligo per l’Autorità Competente di comunicare annualmente al
Ministero dell’Ambiente i dati concernenti, le domande di Aia ricevute, le
autorizzazioni rilasciate e i successivi aggiornamenti oltre che un rapporto
sulle situazioni di mancato rispetto delle prescrizioni dell’autorizzazione
integrata ambientale. Chissà egregio Ministro Clini se la vera ragione per la
mancata istituzione dell’Osservatorio non sia rappresentata da quanto prescrive
il quarto comma dell’art 13 dell’ex dlgs 59 del 2005 ? “ Al funzionamento
dell’osservatorio si provvede mediante le risorse umane, strumentali e
finanziarie in dotazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio a legislazione vigente. Ai componenti dell’Osservatorio non spettano
compensi, ne’ rimborsi spese e gli stessi assicurano la partecipazione
nell’ambito delle attività istituzionali degli organismi di provenienza. In ogni
caso dall’attuazione del presente articolo non derivano oneri aggiuntivi a
carico dello Stato”.
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