Passerà?
Ilva, gli affari di
Passera con Riva: il legame tra Banca Intesa e la società
Nel 2008 il ministro,
allora amministratore delegato dell'istituto di credito, lanciò l'appello per
salvare Alitalia: l'industriale acquisì il 10% della compagnia e divenne il
secondo azionista. E nel 1995 fu proprio la Cariplo a finanziare l’offerta per
comprare l'acciaieria messa in vendita dallo Stato
C’è il Corrado Passera ecologista,
quello che tre giorni fa ha detto: “I criteri di salute pubblica vanno
considerati (….) e quindi gli
impianti di Taranto non devono essere tenuti aperti a qualunque
costo”. E poi c’è il Passera che si preoccupa di lavoro e produzione, tanto da
garantire, il 26 luglio, che “governo e istituzioni locali faranno tutto il
possibile per individuare soluzioni che tutelino occupazione e sostenibilità
produttiva”. Questo è quanto raccontano le cronache delle ultime settimane sulla
vicenda del sequestro degli impianti Ilva. Resta da capire come queste due
maschere indossate dal ministro dello Sviluppo, due maschere già piuttosto
contrastanti tra loro, riescano a conciliarsi con un terzo ruolo interpretato
fino a pochi mesi fa da Passera. Un ruolo da supermanager, da capo di Intesa. E
proprio in veste di banchiere, come numero uno del più grande istituto italiano,
l’attuale superministro del governo Monti, era di gran lunga il finanziatore
di riferimento del gruppo Riva, cioè, in sostanza, dell’Ilva di
Taranto.
Un legame strettissimo, quello tra Intesa e il colosso italiano
dell’acciaio. Tanto che nel 2008, quando la banca allora guidata da Passera si
mette alla ricerca di imprenditori disposti a intervenire per salvare
l’Alitalia, ecco che Emilio Riva, l’ottuagenario patron del gruppo, è uno
dei primi a rispondere all’appello. Per molti quell’intervento fu una sorpresa.
Mai, in più di mezzo secolo di carriera, il padrone dell’Ilva aveva puntato un
soldo su un qualunque investimento che non avesse a che fare con l’acciaio. A
quanto pare, invece, il fascino della scommessa su Alitalia dev’essere stato
irresistibile. O forse Passera e il governo di Silvio Berlusconi, sponsor
politico dell’operazione, devono aver usato argomenti particolarmente
convincenti. Sta di fatto che Riva ha messo sul piatto addirittura 120 milioni
di euro per comprare il 10,8 per cento della compagnia aerea e diventarne e così
il secondo maggior azionista dopo i francesi di Air France (25 per cento)
e addirittura davanti a Intesa, che possiede il 9 per cento circa di Alitalia.
Per Riva, come per tutti gli altri partecipanti alla cordata tricolore,
l’investimento si è fin qui rivelato piuttosto avaro di soddisfazioni, per usare
un eufemismo. A più di tre anni dal salvataggio l’ex compagnia di bandiera
continua a viaggiare in perdita e le prospettive per l’immediato futuro non
sembrano granchè esaltanti. Poco male, per Riva che a differenza di altri
investitori continua a mantenere in bilancio la sua quota di Alitalia al valore
di carico, senza svalutarla. D’altronde, in tempi di crisi gravissima per
l’acciaio, è lecito sospettare che i proprietari dell’Ilva contassero di
incassare un dividendo, per così dire, politico dalla loro partecipazione alla
cordata promossa da Berlusconi e Passera, come numero uno di Intesa.
Sarà un
caso, ma giusto poche settimane prima che venisse siglato l’affare (si fa per
dire) Alitalia, la banca all’epoca guidata da Passera finanziò un’operazione
molto importante dei Riva. Con un prestito di 100 milioni di dollari (circa 80
milioni di euro) il gruppo che controlla Ilva siglò un contratto con un cantiere
cinese per la costruzione di due enormi navi tipo bulk carrier (più di
100 mila tonnellate di stazza) che servono a trasportare minerali di ferro, la
materia prima delle acciaierie. Va detto che i rapporti tra il patron Emilio
Riva, ancora agli arresti domiciliari dal 26 luglio, e la banca milanese
datano da gran tempo, molto prima che Passera si insediasse al
vertice.
L’industriale dell’acciaio è stato per decenni un importante cliente
della Cariplo, la grande cassa di risparmio lombarda che 15 anni fa si è fusa
con il Banco Ambroveneto, dando vita all’istituto destinato a crescere
ancora (Comit e poi Sanpaolo) fino a diventare l’attuale Intesa.
Nel 1995 fu proprio la Cariplo a finanziare l’offerta per comprare l’Ilva messa
in vendita dallo Stato. Un’operazione da 2.200 miliardi di lire, pari a oltre un
miliardo di euro attuali. Con il passare del tempo i rapporti tra Riva e la sua
banca di riferimento si sono consolidati e gli affari sono proseguiti alla
grande anche dopo l’arrivo del banchiere destinato a diventare ministro. Intesa
resta la banca di riferimento del colosso siderurgico, seguita a distanza dalla
Popolare di Bergamo. D’altra parte un cliente come l’Ilva e le altre
acciaierie targate Riva valgono decine di milioni l’anno di ricavi per gli
istituti di credito che hanno finanziato il gruppo per oltre 2 miliardi di euro.
E allora come dire di no a un banchiere amico come Passera. Un banchiere che ora
fa il ministro e sarà chiamato (anche lui) a risolvere la colossale grana di
Taranto.
da
Il Fatto Quotidiano del 10 agosto 2012
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