IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI SILVANA SAGUTO  IL 15 NOVEMBRE 2010 





...... .condivise sul punto le osservazioni dell'opponente sia in ordine alla ILLEGITTIMITA' della PARTECIPAZIONE del 





SINDACO alla C.E.C. sia alla mancata astensione da parte 


della stessa dal prendere parte alla DISCUSSIONE sino alla VOTAZIONE di delibere riguardanti gli INTERESSI propri nonchè di PARENTI o di affini fino al 4° grado.......
















......a cui vanno aggiunti altresì i rilievi della  CONSULENZA disposta dal P.M. che ha affermato la ILLEGITTIMITA' della CONCESSIONE edilizia relativa  all'abitazione del RISO sita all'interno del piano di  lottizzazione "LA PALOMA" .........










......Dispone che il P.M. formuli, entro dieci giorni,  l'IMPUTAZIONE dei confronti di RISO NAPOLEONEPORTOBELLO GASPARE in ordine ai REATI di cui agli  art 323 e 328 c.p........
















CONSIGLIO COMUNALE 10 MARZO 2008













licenza edilizia rilasciata

6 giugno 2006






....vi faccio pagare i danni morali......vi arriverà la parcella dell'avvocato perchè i soldi dei miei figli non si toccano.... vi dovete dimettere perchè la mozione di sfiducia nei miei confronti è stat respinta dal TAR ed avete procurato un danno al Comune... avete speculato con il PRG e ve la vedete con la Procura .... avete girato con le carte del PRG ed ora i cittadini vengono a ringraziarvi.... Urlando forte e chiaro CONTRO.. :  " Se mi denunci ti faccio saltare in aria Ti faccio vedere chi sono io" La coerenza politica non abita nelle loro coscienze, come dimostrano anche diversi atti che hanno approvato a colpi di maggioranza e che il tempo implacabile valuterà........di valutare se fossero esistiti i presupposti per richiedere un risarcimento danni morali per calunnia e diffamazione sia per me che per il Vice Presidente del Consiglio.......



" salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazioni di norme di legge o regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità"



















venerdì 24 agosto 2012

Ilva/ A Taranto si 'indaga' anche sulle cozze


Ilva/ A Taranto si 'indaga' anche sulle cozze

L'Arpa analizza per la procura le cozze a caccia di diossine



      INFOPHOTO


Taranto, 25 ago. (TMNews) - A Taranto si 'indaga' anche sulle cozze, per verificare se ci siano tracce di diossine riferibili all'Ilva. Il pool di magistrati guidato dal procuratore della Repubblica di Taranto Franco Sebastio che si occupa delle indagini per reati fra cui inquinamento, avvelenamento di sostanze alimentari e disastro ambientale a carico dei vertici dell'Ilva di Taranto, ha affidato all'Agenzia regionale per l'Ambiente, diretta da Giorgio Assennato, l'analisi chimica delle cozze provenienti dagli allevamenti del mar Piccolo di Taranto, distrutte lo scorso mese su decisione della Regione perché rese pericolose per la salute dall'inquinamento.


Scopo delle analisi è quello di identificare, come già avvenuto in passato nel corso delle stesse indagini per formaggi e carni provenienti da allevamenti vicini al colosso siderurgico, le impronte digitali delle sostanze killer, come la diossina, in modo da stabilirne la provenienza. Sospettato numero uno, l'Ilva.

L'analisi dell'Arpa potrebbe essere uno degli ultimi tasselli all'inchiesta, avviata circa due anni fa, che di recente ha portato all'arresto di Emilio e Nicola Riva, Luigi Capogrosso ed altri cinque dirigenti del siderurgico, nonché al sequestro degli impianti dell'area a caldo dell'acciaieria più grande d'Europa.

"Dal punto di vista dei capi d'imputazione non cambierebbe nulla - commenta il procuratore Sebastio - si rientrerebbe sempre nel reato di avvelenamento di sostanze alimentari. Dopo carni e formaggi infettati, l'inchiesta si estenderebbe anche alle cozze, con effetti dal punto di vista risarcitorio". Solo nell'estate 2012, infatti, secondo quanto dichiarato dai mitilicoltori tarantini, sono andate distrutte circa venti tonnellate di cozze provenienti dal primo seno del mar Piccolo, per un valore commerciale attorno ai 4 milioni di euro. Oltre venti cooperative di allevatori di mitili interessate dal provvedimento di distruzione, nel caso in cui si accertasse la responsabilità di Ilva nell'avvelenamento con sostanze pericolose per la salute, potrebbero chiedere i danni al siderurgico.


Ilva di Taranto - Emilio Riva, dal carretto di rottami ferrosi a Caronno Pertusella alla più grande industria siderurgica italiana. Storia di un capitalista d'altri tempi


di Tommaso Rodano da il Fatto quotidiano


"Riva assassino”. Una scritta in spray rosso su uno dei muri dell’acciaieria più grande d’Europa. Era il 25 agosto 2006. Il padre padrone dell’Ilva, l’ultraottantenne Emilio Riva, non la prese affatto bene: un affronto intollerabile per il re di Taranto, l’uomo che sfama l’intera città. Il responsabile della scritta era un ragazzino non ancora maggiorenne, la “mandante” una sindacalista dei Cobas, Margherita Calderazzi. Il 13 gennaio 2009 è stata assolta dall’accusa di diffamazione, ma ha dovuto pagare il danno: 450 euro per aver imbrattato il muro dell’I l va . Il giorno della sentenza, di fronte al giudice di pace, Emilio Riva volle essere presente di persona e guardarla negli occhi. Il signore della siderurgia italiana risponde al cliché dell’“uo - mo che si è fatto da solo”. Una vita tutta dedicata all’acciaio. Passione ereditata dal padre e rimasta in famiglia: Emilio inizia nei primi anni cinquanta con il fratello minore Adriano, facendo il giro delle fabbriche della pianura padana su un camioncino, commerciando rottami di ferro. Così nasce la sua prima azienda, nel 1954, mentre l’af - fermazione sulla ribalta dell’in - dustria nazionale arriva con l’acquisizione delle Acciaierie di Cornigliano di Genova nel 1988. Ma il vero, grande affare è l’acquisto dell’ex Italsider di Taranto nel 1995, dopo una lunga trattativa con l’Iri guidato da Romano Prodi.
IL GRUPPO RIVA triplica la produzione e quadruplica il fatturato, l’Ilva diventa la più grande industria siderurgica italiana, una delle primissime in Europa e nel mondo. Un colosso a gestione familiare, nelle mani di un padrone irascibile. Nei primi anni dell’Ilva Emilio Riva è protagonista di un clamoroso episodio di mobbing: al momento dell’acquisto gli esuberi sono circa un migliaio, riassorbiti dopo una lunga battaglia sindacale a patto di accettare condizioni di lavoro “f lessibili”. Chi si rifiuta finisce nella palazzina della laminazione a freddo: un vecchio edificio dismesso all’in - terno dell’acciaieria. Riva spedisce nel palazzo 79 operai “dissi - denti”: rimangono tutto il giorno in un reticolo di corridoi e di stanze spoglie; completamente disoccupati, senza computer, scaffali e strumenti di lavoro. Alcuni dei lavoratori si ammalano di depressione, fino al 9 novembre 1998, giorno della “liberazione”, in cui la procura di Taranto fa mettere i sigilli alla palazzina Laf. Il 7 dicembre 2001 Emilio Riva viene condannato insieme ad altre dieci persone per mobbing e tentata violenza privata. La sentenze del tribunale di Taranto diventano definitive in Corte di Cassazione: Riva dovrebbe scontare un anno e sei mesi di carcere, ma la pena è sospesa.
NON È IL PRIMO, né l’ultimo dei suoi guai con la giustizia. Gli operai della fabbrica di Caronno Petrusella ricordano quando Riva fu portato in carcere, nel lontano 1975, a causa di un incidente sul lavoro. Il giorno dell’arresto il padrone chiuse i cancelli dell’impianto: “Finché non esco io, qui non si lavora”. Sempre lo stesso ricatto: morire di fame o di lavoro. Il tempo passa e l’Ilva accumula tonnellate e tonnellate di acciaio e di veleni, e a far lavorare migliaia di operai. Nel 1998 Taranto è dichiarata “città ad alto rischio ambientale” con decreto del presidente della Repubblica, mentre nel 2006 un rapporto dell’Ines (Inventario nazionale emissioni e sorgenti) stabilisce che il 92 per cento dell’intera produzione nazionale di diossina è da attribuire all’ac - ciaieria tarantina. Nel 2008 vengono abbattute oltre 2 mila pecore nei pascoli vicino alla fabbrica: il loro latte è pieno di veleno. L’Ilva però rimane aperta. Anche perché a Emilio Riva non mancano certo le sponde politiche. A ottantadue anni per la prima volta si lancia in un’impresa al di fuori nel mondo dell’acciaio: è tra gli imprenditori che devono salvare Alitalia e la sua “italianità”, come promesso da Silvio Berlusconi. Riva investe nella Cai 120 milioni di euro. “Un atto di patriottismo”, confessa in un’intervista. Sta di fatto che i cancelli dell’Ilva sono salvati dalla chiusura anche nel giugno 2011, quando i carabinieri del Noe di Lecce chiedono il sequestro della fabbrica dopo una serie di controlli a sorpresa. In quel caso è provvidenziale l’inter vento dell’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: il suo decreto concede l’autorizazzione a continuare a produrre. Sarebbe dovuta durare sei anni, di fatto è scaduta ieri.

http://www.infonodo.org/node/33546 



Ilva, nuove intercettazioni. I Riva: «Diciamo che va tutto bene. Si vende fumo»

Coerenza

“Una curiosità: a difendere il 78enne Mario Lupo, presidente dell’Ilva dal 1988 al 1991, risulta essere l’avvocato Paola Severino, divenuto ministro della Giustizia nel Governo Monti, un incarico precedente alla nomina governativa.”
da la Gazzetta del Mezzogiorno
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morti cancro taranto ilva
fonte immagine

Ilva, nuove intercettazioni. I Riva: «Diciamo che va tutto bene. Si vende fumo»

Nei giornali di oggi un rapporto della Guardia di finanza che incastra i dirigenti dello stabilimento di Taranto


TARANTO – Comunicati fasulli per la stampa, la corruzione di un perito della procura, le pressioni sulla commissione governativa che rilasciò l’Autorizzazione integrata ambientale. Questi gli elementi che emergerebbero dalle conversazioni in mano alle Fiamme gialle, secondo quanto riportato da alcuni quotidiani in edicola oggi.

Materiale bollente – ricostruisce Giusi Fasano nel Corriere della sera – che sarebbe contenuto nel fascicolo per corruzione in atti giudiziari contro Girolamo Archinà, il responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato pochi giorni fa. La Gdf – ricorda l’articolo -«parte dall’ormai famoso incontro fra Archinà e Lorenzo Liberti – consulente tecnico dei magistrati che secondo la Procura avrebbe ricevuto da Archinà diecimila euro per favorire il gruppo siderurgico nelle relazioni da consegnare ai pubblici ministeri – e finisce col disegnare uno scenario inquietante di accordi sottobanco, tentativi di condizionamenti, versioni da costruire a tavolino per la stampa. L’episodio Archinà-Liberti viaggia su una strada giudiziaria autonoma ma è finito nelle indagini che hanno portato al sequestro dello stabilimento e ai domiciliari per otto persone (fra le quali Emilio Riva, proprietario dell’Ilva, e suo figlio Nicola) perché il giudice Patrizia Todisco lo ha citato riferendosi alla capacità di inquinamento delle prove della famiglia Riva».

Depistare la stampa. Il 15 luglio 2010 – ricorda il Corriere – Archinà e Fabio Riva incontrano Vendola per discutere di Ilva. Dopo l’incontro Fabio Riva parla con suo figlio Emilio e gli dice che l’incontro è andato bene. «Emilio suggerisce di fare un comunicato fuorviante» annotano i finanzieri: «Si dice… si vende fumo, non so come dire! Sì, l’Ilva collabora con la Regione, tutto bene…». Liberti aspetta dall’Arpa (Agenzia regionale protezione e ambiente) alcuni dati sui rilevamenti della diossina. «E diamoglieli noi, dai!» dice Fabio Riva. E Archinà: «In modo che io potrei lavorargli… a dire… sulla quantità piuttosto che sul profilo». «Darglieli in anteprima – traducono i finanzieri – significa che così Archinà potrà iniziare a lavorare sul Liberti affinché (…) attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno».
L’Ilva potrebbe inoltre aver esercitato pressioni sulla commissione che ha stilato l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto 2011 dal governo Berlusconi. «Il sospetto delle Fiamme gialle – scrive Repubblica – è che in quel documento (che ora il ministro Clini vuole rivedere al più presto) i limiti di inquinamento siano stati disegnati appositamente sulle emissioni dell’Ilva».
Ieri il presidente dell’azienda, Bruno Ferrante, ha presentato gli appelli contro la decisione del gip che ordina la chiusura degli impianti. Sul fronte politico, dopo l’audizione alla Camera del ministro Clini, a Taranto sono attesi per il 17 agosto i ministri Passera, Severino e lo stesso Clini.
Mercoledì 15 Agosto 2012 – 12:14
Ultimo aggiornamento: 12:24
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fonte immagine di testa  Sospiriamo Taranto

Pecorella: «L’Ilva non può pensare che sia lo Stato a dover pagare la sua messa in regola»

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agosto 24, 2012 Chiara Rizzo

Gaetano Pecorella, presidente della commissione d’inchiesta sui rifiuti che ha indagato sull’Ilva: «Il problema dei posti di lavoro esiste, ma per anni l’azienda ha trovato il modo di non adeguare gli impianti»


La commissione bicamerale d’inchiesta sui rifiuti lo scorso 20 giugno, prima dunque del decreto del Gip di Taranto Todisco, ha pubblicato una dettagliata relazione (firmata all’unanimità) sulla Puglia, dedicando un intero capitolo al caso Ilva. Si tratta del frutto di audizioni e acquisizioni di atti (comprese le perizie mediche e chimiche disposte dal Gip di Taranto, nel contraddittorio con le parti, che hanno rivelato gli effetti dell’inquinamento ambientale), e di visite ispettive in Puglia della stessa commissione, iniziate nel settembre 2010. Gaetano Pecorella (deputato Pdl), il presidente della commissione, spiega a tempi.it: «L’Ilva per anni ha trovato modo di non mettersi in regola e di non spendere per adeguare gli impianti. Lavora come tutto il capitalismo italiano, nella logica che quando c’è da guadagnare si intasca, quando c’è da spendere si scarica sulla collettività». Oggi, secondo Pecorella e la commissione, «il problema dei 15 mila posti di lavoro a rischio c’è, eccome. Ma in questa vicenda non può passare il principio che per mettersi in regola sia lo Stato a pagare. Credo che l’indicazione del Riesame con l’interruzione della produzione come estrema ratio sia corretta. Bisogna però tenere il fiato sul collo all’Ilva perché tutto non passi sotto silenzio».


La relazione della commissione sull’Ilva conclude che «ci si trova di fronte ad un’area altamente inquinata per ragioni allo stato non riconducibili univocamente a questo o a quell’altro fattore rispetto alle quali risultano del tutto carenti le attività di bonifica o di messa in sicurezza a tutela dell’ambiente e della salute umana». Che impressione si è fatto di questa vicenda, in base alle ispezioni, alle audizioni e ai documenti analizzati?
La prima cosa che mi ha colpito di questo lavoro è stata l’ispezione all’Ilva fatta dalla commissione a settembre 2010. Tralascio l’accoglienza cordiale che abbiamo ricevuto, di cui ora capisco davvero il senso. Ci fecero vedere delle casette che avevano costruito, un esempio di interventi positivi, e ci portarono in giro per lo stabilimento. Ma quando abbiamo chiesto dove nascondessero i rifiuti pericolosi (perché il vero problema dell’Ilva è quello delle discariche occulte, che ci sono dai tempi dell’Italsider e di cui ci erano pervenute delle segnalazioni precise) l’azienda ricondusse la responsabilità a chi c’era prima, cioè lo Stato. Questo malgrado fin dal 2010, e fino ad oggi, tra quei rifiuti ci siano state polveri che contengono diossina. La seconda cosa che mi ha colpito è stato il caso degli ovini abbattuti a Taranto (tra il 2008 e il 2011 2.271 capi di bestiame, ndr) perché sono state ritrovate tracce di diossina e Pcb dopo che avevano pascolato in terreni più o meno vicini all’Ilva, e contaminati da polveri che i periti riconducono con ragionevole certezza allo stabilimento. Chiedemmo notizie al riguardo. Ci risposero che la diossina era presente nell’erba come conseguenza di Chernobyl. Non c’è stata dall’Ilva nessuna ammissione di un malfunzionamento. La commissione questo lo ha denunciato, perché certamente a nostro avviso c’è al contrario una responsabilità dell’Ilva. Anche se può esserci la concorrenza di altri fattori esterni, le sostanze inquinanti provengono sicuramente dal ciclo produttivo dell’Ilva, questo è un dato individuabile in tutte le perizie.


La relazione della commissione evidenzia anche che in questa vicenda «altrettanto carenti e non coordinati risultano i controlli istituzionali da parte degli enti centrali o locali». Che cosa è accaduto?
La carenza dei controlli è una conseguenza logica del fatto che questa produzione inquinante va avanti da molti anni. Non c’è stato alcun intervento delle istituzioni, e nemmeno a fronte di processi con condanne definitive come quelle riportate dai Riva. La stessa magistratura si è decisa ad intervenire solo ora. Ad esempio, l’Arpa pugliese spiegò che fino al 2008 «non aveva né la possibilità di effettuare misurazioni particolarmente complesse come quelle delle diossine nelle emissioni o nell’ambiente, né aveva un laboratorio sufficientemente attrezzato per effettuare questo tipo di misurazioni». Un registro dei tumori che iniziava a studiare le incidenze degli inquinanti sulla diffusione dei tumori, aperto nel 2001, rimase poi chiuso per anni. L’istituto nazionale di sanità, cui l’Arpa Puglia aveva chiesto di esprimere un parere sull’inquinamento da berillio e pcb nel quartiere Tamburi (nei pressi dell’Ilva, ndr), si è limitata a scrivere 3 pagine scarse, con osservazioni basate sulle osservazioni dell’Arpa. Meraviglia che l’istituto non abbia svolto direttamente le indagini che gli competono. Eppure nessuno, né Arpa né altri, hanno denunciato la carenza di mezzi o altro fino ad oggi.


Perché?
C’è stata a Taranto una sorta di connivenza da parte di tutte le istituzioni, e questo lo dico a prescindere dai fenomeni di corruzione in corso di accertamento dalla magistratura. Una connivenza forse anche per la stessa paura che vediamo diffondersi oggi, per la chiusura dello stabilimento e la perdita conseguente di tanti posti di lavoro.


In commissione c’è stata anche l’audizione del presidente Ilva Bruno Ferrante, il quale ha motivato quello che è accaduto parlando di incomprensioni con l’autorità giudiziaria. Secondo Ferrante, inoltre, l’Ilva ha fatto negli anni considerevoli investimenti per l’ambiente, un miliardo di euro dal 1995. Che cosa ne pensa lei?
Io non credo che ci siano state incomprensioni. L’Ilva per anni e anni ha trovato il modo di non mettersi in regola e di non spendere, tanto che nel 2008, semmai, c’è stato una riduzione degli investimenti per le bonifiche ambientali. Il miliardo di euro dal ’95, di cui ha parlato Ferrante, è poca cosa per adeguare gli impianti: basta dividere quella cifra per i 17 anni trascorsi per capirlo. La conseguenza è che oggi l’Ilva dovrà affrontare investimenti ingenti per adeguarsi, anche perché gli impianti sono obsoleti. Inoltre, se in questi anni la magistratura ha accertato che ci sono stati i danni alla salute evidenziati da alcune perizie, evidentemente non è vero quello che dice Ferrante, che il problema è stata solo di una contrapposizione con le autorità.


Si riferisce alla perizia medica sulle morti e i tumori nel quartiere Tamburi?
Sì. Ho letto la consulenza consegnata ai magistrati. Tra il 2004 e il 2010 ci sono stati 91 decessi e 379 ricoveri, solo in questi quartieri, attribuibili alle emissioni degli impianti industriali. Per i periti, il numero dei decessi in quei quartieri è superiore al 70 per cento rispetto alla media cittadina. Inoltre i periti hanno condotto uno studio sul periodo tra il ’98 e il 2010 e stimato 386 decessi totali, 237 ricoveri per tumori maligni, 937 per malattie respiratorie tutto questo in gran parte in relazione ai bambini, con 48 casi di ricoveri pediatrici all’anno. La commissione ha visitato i quartieri Borgo e Tamburi: ricordo bene le facciate delle case tutte rosse, per le emissioni pesanti. Ho letto una grande stupidata sui giornali, l’idea di trasferire i residenti da Tamburi. Non scherziamo. La diossina per altro si infiltra anche nelle falde acquifere e quindi è un problema a più ampio raggio. La commissione pensa che non si possa consentire oltre qualsiasi tipo di attività che possa essere dannosa alla salute delle persone. Questa è una cosa su cui non si può transigere: se l’attività è dannosa, quindi è un reato, non si può andare avanti.


Ma 15 mila disoccupati sono un altro problema grave.
Credo che l’indicazione del Riesame che vede l’interruzione della produzione come estrema ratio sia corretta. Bisogna spingere l’Ilva a mettere in regola lo stabilimento lasciandolo aperto. Ma se l’azienda non vuole farlo, la seconda fase dev’essere la chiusura. Il problema è che l’Ilva lavora come tutto il capitalismo italiano che quando c’è da guadagnare si intasca, quando c’è da spendere si scarica sulla collettività. Il problema dei 15 mila posti di lavoro c’è eccome, ma non può più passare il principio che per mettersi in regola sia lo Stato a pagare. Adesso la strategia che l’azienda segue, come molte altre volte in passato, è quella di “parare i colpi” finché c’è attenzione sul problema, nella speranza che poi tutto riprenderà come prima. Questo è accaduto anche a fronte delle condanne dei Riva passate in giudicato. Bene, invece non si può andare avanti così. So che il ministro Clini è molto vigile su questo, ma adesso non deve venire meno la vigilanza da parte del Noe, dell’Arpa e della Regione. Serve il fiato sul collo.


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24 agosto 2012

Taranto

Ma i soldi per l’Ilva sono un giallo

Leonardi: i fondi europei ci sono ma Bruxelles chiederebbe un commissario


immagine documento
Che la salvezza dell’Ilva, e della città che la ospita, passi dall’Europa il governo sembra esserne piuttosto sicuro. Lo hanno reso chiaro appena una settimana fa sia il ministro allo sviluppo economico Corrado Passera sia quello all’ambiente Corrado Clini che nel corso della conferenza stampa tarantina parlavano entrambi di un ricorso ai fondi europei. Allo stato attuale delle cose, infatti, il piatto – cioè le uniche cifre che siano state menzionate: i 336 milioni dello stato tramite decreto legge, e i 146 promessi dall’Ilva di Bruno Ferrante – piange. «Non basteranno», diceva Passera. «I 146 milioni dell’Ilva sicuramente non coprono gli investimenti necessari», ha ribadito Clini mercoledì. E solo ieri il procuratore di Taranto dichiarava: «È un impianto privato, non è lo stato che deve pagare o anticipare».
A quanto pare sarà l’Europa a doverci salvare. Ma come? Al momento, confermano fonti governative, l’idea di una caccia grossa di fondi europei rimane soltanto quella. Un’idea. Quanto concreta – e cioè quali siano questi fondi, e quanto sonante sia il denaro che ne dovrebbe scaturire – è difficile da capire. I fondi europei, infatti, sono una giungla nella quale districarsi non è facile. Ecco perché siamo andati a parlare con l’esperto italo-americano Robert Leonardi, visiting professor alla Luiss, ed ex docente della London school of economics, noto in Italia per essersi occupato, a partire dal 2008, dei fondi europei in Sicilia. Lui la situazione di Taranto l’ha vista coi suoi occhi.
La domanda è: esistono in Europa soldi da cui attingere per affrontare la crisi tarantina nel suo insieme, cioè dal risanamento della città alla metamorfosi della più grande acciaieria d’Europa? «Ce ne sono, eccome – risponde pacato a Europa – sono i famosi fondi strutturali. Stiamo parlando di miliardi di euro che non sono quasi mai stati adoperati. Se non li si usa, torneranno a Bruxelles». La Puglia infatti fa parte delle cosiddette “regioni convergenza” – chiarisce – ragion per cui dal 2007 al 2013 (ma la scadenza è posponibile) ha avuto a disposizione 6 miliardi, «dei quali solo il 10 per cento è stato speso». Soldi, sostiene il docente, che con un accordo a tre livelli (fra regione, governo e commissione europea) sarebbero accessibili. Ma la crisi tarantina è «un po’ fuori dal normale, e richiederebbe una preparazione: giustificare la cosa, riprogrammare i fondi, dare tempi sicuri. Complicato ma non impossibile». Ci sono però, fa notare Leonardi, due questioni. La prima, tecnica: «All’Ilva sanno esattamente che cosa devono fare e dove andare a intervenire? Perché se non hai progetti esecutivi, in Europa non vai da nessuna parte». La seconda è, pesantemente, politica: seguendo questa strada l’azienda verrebbe commissariata. «Secondo l’Europa, se l’azienda non è in grado di trovare i propri soldi, deve chiedere allo stato, e se lo stato è disponibile a intervenire, diventa esecutore dell’intervento, e deve nominare un commissario con poteri straordinari. Senza dubbio, la Commissione imporrebbe il commissariamento dell’Ilva. Non potrebbero lasciare mano libera al management». Un tesoro, insomma, ma nella tradizione tolkieniana, un tesoro avvelenato. La famiglia Riva lo accetterebbe? E d’altra parte un governo tecnico si assumerebbe mai la responsabilità di gestire un’acciaieria “di stato”? 
http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/136740/ma_i_soldi_per_lilva_sono_un_giallo

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Ilva, videocamerespia su impianti sequestrati

di MIMMO MAZZA

TARANTO - Videosorveglianza 24 ore al giorno di parchi minerali, acciaierie, altiforni e cokerie. È la prima mossa dei custodi giudiziari dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, finita sotto sequestro lo scorso 26 agosto. Gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento ieri pomeriggio si sono recati nello stabilimento siderurgico, accompagnati dai Carabinieri del Noe (il Nucleo operativo ecologico) di Lecce, per definire il sistema di videosorveglianza che sarà installato in tempi brevi a spese dell’Ilva - due milioni di euro la spesa prevista nell’ambito dei 146 milioni posti sul piatto dal presidente Bruno Ferrante, dopo il vertice con i ministri Clini e Passera - e che consentirà un monitoraggio costante degli impianti finiti nel mirino della magistratura. 

Ieri mattina i tre tecnici - con l’aggiunta del commercialista Mario Tagarelli, incaricato di curare gli aspetti amministrativi - erano stati a Palazzo di giustizia per incontrare il pool di magistrati che si occupa dell’inchiesta sull’Ilva e il giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, che ha definito i loro compiti dopo averne firmato la nomina. «La fase esecutiva del sequestro - ha commentato il procuratore capo Franco Sebastio al termine dell’incontro - è iniziata 24 ore dopo la notifica del decreto di sequestro. Il Tribunale del Riesame è stato molto chiaro - ha aggiunto il magistrato - perché ha specificato che non c’è la facoltà d’uso degli impianti e lo scopo dei custodi, sotto la nostra supervisione, è di eliminare le emissioni nocive per la salute». 

Massimo riserbo da parte del numero uno della Procura ionica sui tempi e le modalità di attuazione degli interventi: «I tecnici stanno per questo, tocca a loro prospettare le modalità di intervento. Ora stanno verificando che la produzione sia al minimo e ci hanno già indicato una stima dei costi e degli interventi da fare. Può darsi che ci siano lavori da fare ad impianti fermi, altri lavori da fare ad impianti accesi ma non produttivi ed altri che permettano di produrre. Tutti questi aspetti li indicheranno i custodi tecnici con i quali abbiamo già concordato una linea operativa». Chiaro invece il Procuratore sui possibili sviluppi della vicenda: «Noi siamo organo giudiziario, perseguiamo i reati, non risolviamo i problemi sociali. Il nostro scopo, indicato dal Riesame, è porre fine rapidamente alle emissioni nocive per l’ambiente e la salute pubblica. Evitiamo di fare annunci in un momento delicato come questo. Conteranno i fatti. I tecnici indicheranno alla proprietà dello stabilimento il programma e gli interventi concordati seguendo la linea dettata dal Riesame, cioè quella di evitare per quanto possibile tecnicamente, la distruzione degli impianti. Si tratta di un’azienda privata, non può farsi carico lo Stato dei lavori necessari per evitare le emissioni nocive, toccherà all’Ilva decidere cosa fare. Se non lo vorrà fare, le conseguenze saranno inevitabili». I custodi giudiziari nominati dal gip hanno già eseguito diversi accessi all’interno dello stabilimento, raccogliendo documenti e prendendo informazioni sullo stato degli impianti e sulla produzione. Nelle prossime ore lavoreranno ad una scheda, impianto per impianto, in grado di illustrare sia le modalità di intervento per ridurre le emissioni inquinanti che la spesa necessaria.


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