Ilva/ A Taranto si 'indaga' anche sulle cozze
L'Arpa analizza per la procura le cozze a caccia di diossine
Taranto, 25 ago. (TMNews) - A
Taranto si 'indaga' anche sulle cozze, per verificare se ci siano tracce di
diossine riferibili all'Ilva. Il pool di magistrati guidato dal procuratore
della Repubblica di Taranto Franco Sebastio che si occupa delle indagini per
reati fra cui inquinamento, avvelenamento di sostanze alimentari e disastro
ambientale a carico dei vertici dell'Ilva di Taranto, ha affidato all'Agenzia
regionale per l'Ambiente, diretta da Giorgio Assennato, l'analisi chimica delle
cozze provenienti dagli allevamenti del mar Piccolo di Taranto, distrutte lo
scorso mese su decisione della Regione perché rese pericolose per la salute
dall'inquinamento.
Scopo delle analisi è quello di identificare, come già
avvenuto in passato nel corso delle stesse indagini per formaggi e carni
provenienti da allevamenti vicini al colosso siderurgico, le impronte digitali
delle sostanze killer, come la diossina, in modo da stabilirne la provenienza.
Sospettato numero uno, l'Ilva.
L'analisi dell'Arpa potrebbe essere uno
degli ultimi tasselli all'inchiesta, avviata circa due anni fa, che di recente
ha portato all'arresto di Emilio e Nicola Riva, Luigi Capogrosso ed altri cinque
dirigenti del siderurgico, nonché al sequestro degli impianti dell'area a caldo
dell'acciaieria più grande d'Europa.
"Dal punto di vista dei capi
d'imputazione non cambierebbe nulla - commenta il procuratore Sebastio - si
rientrerebbe sempre nel reato di avvelenamento di sostanze alimentari. Dopo
carni e formaggi infettati, l'inchiesta si estenderebbe anche alle cozze, con
effetti dal punto di vista risarcitorio". Solo nell'estate 2012, infatti,
secondo quanto dichiarato dai mitilicoltori tarantini, sono andate distrutte
circa venti tonnellate di cozze provenienti dal primo seno del mar Piccolo, per
un valore commerciale attorno ai 4 milioni di euro. Oltre venti cooperative di
allevatori di mitili interessate dal provvedimento di distruzione, nel caso in
cui si accertasse la responsabilità di Ilva nell'avvelenamento con sostanze
pericolose per la salute, potrebbero chiedere i danni al siderurgico.
Ilva di Taranto - Emilio Riva, dal carretto di rottami ferrosi a Caronno Pertusella alla più grande industria siderurgica italiana. Storia di un capitalista d'altri tempi
Ilva di Taranto - Emilio Riva, dal carretto di rottami ferrosi a Caronno Pertusella alla più grande industria siderurgica italiana. Storia di un capitalista d'altri tempi
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di Tommaso Rodano da il Fatto quotidiano
"Riva
assassino”. Una scritta in spray rosso su uno dei muri dell’acciaieria
più grande d’Europa. Era il 25 agosto 2006. Il padre padrone dell’Ilva,
l’ultraottantenne Emilio Riva, non la prese affatto bene: un affronto
intollerabile per il re di Taranto, l’uomo che sfama l’intera città. Il
responsabile della scritta era un ragazzino non ancora maggiorenne, la
“mandante” una sindacalista dei Cobas, Margherita Calderazzi. Il 13 gennaio 2009
è stata assolta dall’accusa di diffamazione, ma ha dovuto pagare il danno: 450
euro per aver imbrattato il muro dell’I l va . Il giorno della sentenza, di
fronte al giudice di pace, Emilio Riva volle essere presente di persona e
guardarla negli occhi. Il signore della siderurgia italiana risponde al cliché
dell’“uo - mo che si è fatto da solo”. Una vita tutta dedicata all’acciaio.
Passione ereditata dal padre e rimasta in famiglia: Emilio inizia nei primi anni
cinquanta con il fratello minore Adriano, facendo il giro delle fabbriche della
pianura padana su un camioncino, commerciando rottami di ferro. Così nasce la
sua prima azienda, nel 1954, mentre l’af - fermazione sulla ribalta dell’in -
dustria nazionale arriva con l’acquisizione delle Acciaierie di Cornigliano di
Genova nel 1988. Ma il vero, grande affare è l’acquisto dell’ex Italsider di
Taranto nel 1995, dopo una lunga trattativa con l’Iri guidato da Romano
Prodi.
IL GRUPPO
RIVA triplica la produzione e quadruplica il fatturato, l’Ilva diventa
la più grande industria siderurgica italiana, una delle primissime in Europa e
nel mondo. Un colosso a gestione familiare, nelle mani di un padrone irascibile.
Nei primi anni dell’Ilva Emilio Riva è protagonista di un clamoroso episodio di
mobbing: al momento dell’acquisto gli esuberi sono circa un migliaio,
riassorbiti dopo una lunga battaglia sindacale a patto di accettare condizioni
di lavoro “f lessibili”. Chi si rifiuta finisce nella palazzina della
laminazione a freddo: un vecchio edificio dismesso all’in - terno
dell’acciaieria. Riva spedisce nel palazzo 79 operai
“dissi - denti”: rimangono tutto il giorno in un reticolo di corridoi e di
stanze spoglie; completamente disoccupati, senza computer, scaffali e strumenti
di lavoro. Alcuni dei lavoratori si ammalano di depressione, fino al 9 novembre
1998, giorno della “liberazione”, in cui la procura di Taranto fa mettere i
sigilli alla palazzina Laf. Il 7 dicembre 2001 Emilio Riva viene condannato
insieme ad altre dieci persone per mobbing e tentata violenza privata. La
sentenze del tribunale di Taranto diventano definitive in Corte di Cassazione:
Riva dovrebbe scontare un anno e sei mesi di carcere, ma la pena è sospesa.
NON È IL
PRIMO, né l’ultimo dei suoi guai con la giustizia. Gli operai della
fabbrica di Caronno Petrusella ricordano quando Riva fu portato in carcere, nel
lontano 1975, a causa di un incidente sul lavoro. Il giorno dell’arresto il
padrone chiuse i cancelli dell’impianto: “Finché non esco io, qui non si
lavora”. Sempre lo stesso ricatto: morire di fame o di lavoro. Il tempo passa e
l’Ilva accumula tonnellate e tonnellate di acciaio e di veleni, e a far lavorare
migliaia di operai. Nel 1998 Taranto è dichiarata “città ad alto rischio
ambientale” con decreto del presidente della Repubblica, mentre nel 2006 un
rapporto dell’Ines (Inventario nazionale emissioni e sorgenti) stabilisce che il
92 per cento dell’intera produzione nazionale di diossina è da attribuire
all’ac - ciaieria tarantina. Nel 2008 vengono abbattute oltre 2 mila pecore nei
pascoli vicino alla fabbrica: il loro latte è pieno di veleno. L’Ilva però
rimane aperta. Anche perché a Emilio Riva non mancano certo le sponde politiche.
A ottantadue anni per la prima volta si lancia in un’impresa al di fuori nel
mondo dell’acciaio: è tra gli imprenditori che devono salvare Alitalia e la sua
“italianità”, come promesso da Silvio Berlusconi. Riva investe nella Cai 120
milioni di euro. “Un atto di patriottismo”, confessa in un’intervista. Sta di
fatto che i cancelli dell’Ilva sono salvati dalla chiusura anche nel giugno
2011, quando i carabinieri del Noe di Lecce chiedono il sequestro della fabbrica
dopo una serie di controlli a sorpresa. In quel caso è provvidenziale l’inter
vento dell’ex ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo: il suo decreto
concede l’autorizazzione a continuare a produrre. Sarebbe dovuta durare sei
anni, di fatto è scaduta ieri.
http://www.infonodo.org/node/33546
da la Gazzetta del Mezzogiorno
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fonte
immagine
Ilva, nuove intercettazioni. I Riva: «Diciamo che va tutto bene. Si vende fumo»
Coerenza
“Una curiosità: a difendere il 78enne Mario Lupo, presidente dell’Ilva dal 1988 al 1991, risulta essere l’avvocato Paola Severino, divenuto ministro della Giustizia nel Governo Monti, un incarico precedente alla nomina governativa.”da la Gazzetta del Mezzogiorno
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Ilva, nuove intercettazioni. I Riva: «Diciamo che va tutto bene. Si vende fumo»
Nei giornali di oggi un rapporto della Guardia di finanza che incastra i dirigenti dello stabilimento di Taranto
TARANTO – Comunicati fasulli per la
stampa, la corruzione di un perito della procura, le pressioni sulla commissione
governativa che rilasciò l’Autorizzazione integrata ambientale.
Questi gli elementi che emergerebbero dalle conversazioni in mano alle Fiamme
gialle, secondo quanto riportato da alcuni quotidiani in edicola oggi.
Materiale bollente – ricostruisce Giusi Fasano nel Corriere della sera – che sarebbe contenuto nel fascicolo per corruzione in atti giudiziari contro Girolamo Archinà, il responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato pochi giorni fa. La Gdf – ricorda l’articolo -«parte dall’ormai famoso incontro fra Archinà e Lorenzo Liberti – consulente tecnico dei magistrati che secondo la Procura avrebbe ricevuto da Archinà diecimila euro per favorire il gruppo siderurgico nelle relazioni da consegnare ai pubblici ministeri – e finisce col disegnare uno scenario inquietante di accordi sottobanco, tentativi di condizionamenti, versioni da costruire a tavolino per la stampa. L’episodio Archinà-Liberti viaggia su una strada giudiziaria autonoma ma è finito nelle indagini che hanno portato al sequestro dello stabilimento e ai domiciliari per otto persone (fra le quali Emilio Riva, proprietario dell’Ilva, e suo figlio Nicola) perché il giudice Patrizia Todisco lo ha citato riferendosi alla capacità di inquinamento delle prove della famiglia Riva».
Depistare la stampa. Il 15 luglio 2010 – ricorda il Corriere – Archinà e Fabio Riva incontrano Vendola per discutere di Ilva. Dopo l’incontro Fabio Riva parla con suo figlio Emilio e gli dice che l’incontro è andato bene. «Emilio suggerisce di fare un comunicato fuorviante» annotano i finanzieri: «Si dice… si vende fumo, non so come dire! Sì, l’Ilva collabora con la Regione, tutto bene…». Liberti aspetta dall’Arpa (Agenzia regionale protezione e ambiente) alcuni dati sui rilevamenti della diossina. «E diamoglieli noi, dai!» dice Fabio Riva. E Archinà: «In modo che io potrei lavorargli… a dire… sulla quantità piuttosto che sul profilo». «Darglieli in anteprima – traducono i finanzieri – significa che così Archinà potrà iniziare a lavorare sul Liberti affinché (…) attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno».
L’Ilva potrebbe inoltre aver esercitato pressioni sulla commissione che ha stilato l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto 2011 dal governo Berlusconi. «Il sospetto delle Fiamme gialle – scrive Repubblica – è che in quel documento (che ora il ministro Clini vuole rivedere al più presto) i limiti di inquinamento siano stati disegnati appositamente sulle emissioni dell’Ilva».
Ieri il presidente dell’azienda, Bruno Ferrante, ha presentato gli appelli contro la decisione del gip che ordina la chiusura degli impianti. Sul fronte politico, dopo l’audizione alla Camera del ministro Clini, a Taranto sono attesi per il 17 agosto i ministri Passera, Severino e lo stesso Clini.
Materiale bollente – ricostruisce Giusi Fasano nel Corriere della sera – che sarebbe contenuto nel fascicolo per corruzione in atti giudiziari contro Girolamo Archinà, il responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato pochi giorni fa. La Gdf – ricorda l’articolo -«parte dall’ormai famoso incontro fra Archinà e Lorenzo Liberti – consulente tecnico dei magistrati che secondo la Procura avrebbe ricevuto da Archinà diecimila euro per favorire il gruppo siderurgico nelle relazioni da consegnare ai pubblici ministeri – e finisce col disegnare uno scenario inquietante di accordi sottobanco, tentativi di condizionamenti, versioni da costruire a tavolino per la stampa. L’episodio Archinà-Liberti viaggia su una strada giudiziaria autonoma ma è finito nelle indagini che hanno portato al sequestro dello stabilimento e ai domiciliari per otto persone (fra le quali Emilio Riva, proprietario dell’Ilva, e suo figlio Nicola) perché il giudice Patrizia Todisco lo ha citato riferendosi alla capacità di inquinamento delle prove della famiglia Riva».
Depistare la stampa. Il 15 luglio 2010 – ricorda il Corriere – Archinà e Fabio Riva incontrano Vendola per discutere di Ilva. Dopo l’incontro Fabio Riva parla con suo figlio Emilio e gli dice che l’incontro è andato bene. «Emilio suggerisce di fare un comunicato fuorviante» annotano i finanzieri: «Si dice… si vende fumo, non so come dire! Sì, l’Ilva collabora con la Regione, tutto bene…». Liberti aspetta dall’Arpa (Agenzia regionale protezione e ambiente) alcuni dati sui rilevamenti della diossina. «E diamoglieli noi, dai!» dice Fabio Riva. E Archinà: «In modo che io potrei lavorargli… a dire… sulla quantità piuttosto che sul profilo». «Darglieli in anteprima – traducono i finanzieri – significa che così Archinà potrà iniziare a lavorare sul Liberti affinché (…) attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all’esterno».
L’Ilva potrebbe inoltre aver esercitato pressioni sulla commissione che ha stilato l’Autorizzazione integrata ambientale rilasciata il 4 agosto 2011 dal governo Berlusconi. «Il sospetto delle Fiamme gialle – scrive Repubblica – è che in quel documento (che ora il ministro Clini vuole rivedere al più presto) i limiti di inquinamento siano stati disegnati appositamente sulle emissioni dell’Ilva».
Ieri il presidente dell’azienda, Bruno Ferrante, ha presentato gli appelli contro la decisione del gip che ordina la chiusura degli impianti. Sul fronte politico, dopo l’audizione alla Camera del ministro Clini, a Taranto sono attesi per il 17 agosto i ministri Passera, Severino e lo stesso Clini.
Mercoledì 15 Agosto 2012 – 12:14
Ultimo aggiornamento: 12:24
Ultimo aggiornamento: 12:24
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fonte ilmessaggero.it
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fonte immagine di testa
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